L'ufficiale aprì gli occhi.
Un soffitto ingiallito e scrostato copriva la vista di quello che era uno dei cieli più stellati dell'anno.
Egli non lo seppe mai e si limitò a osservare la posizione delle macchie di umidità sull'intonaco.
Cercava di comporre un qualche contorno  conosciuto e muoveva ostinatamente la testa, per cambiare punto di vista.
Uno di quei movimenti  gli produsse una fitta allo stomaco e lo fece desistere.
Chiuse gli occhi di nuovo.
Cercò di spostarsi in una posizione migliore, di lenire il dolore.
Niente da fare.
Bisognava aspettare il dottore con le sue pastiglie, le sue iniezioni.
Per un po',  almeno, lo facevano dormire.
Le lenzuola, rimbboccate strette, contribuivano a quel senso di disagio, di nuova prigionia, comprimendolo, limitandone i moviementi  e facendolo aderire al materasso.
Girò la testa verso la televisione che appesa al muro troneggiava sull'angolo sinitro della stanza.
E vide il Generale,  sempre uguale a se stessa nella divisa cachi.
Nonostante l'assenza del volume immagino'  il suo un discorso alla nazione.
 Conosceva bene il Generale.  In fondo doveva essere soddisfatto, le sue predizioni si erano avverate, ecco la tanto attesa situazione di emergenza. Un ufficiale dello Stato era stato gravemente ferito. Non era permessa alcuna esitazione. Il suo corpo di azione rapida era pronto.
Il Paese non doveva avere timore.
L'Ufficiale batte' le palpebre, si sentiva sospeso  tra la vita e la  morte.
Da un lato felice di essere sopravvisuto,
dall'altro stanco e angosciato all'idea di dover riprendere il lavoro al più presto.
Cercò insistentemente  di ritrovare il sonno d'oblio da cui era appena emerso.
 Non voleva pensare ne' al generale ne' al lavoro.
Si sforzo' , conto' le pecore, conto' le macchie del soffitto, conto' i secondi. Ma di nuovo tutto inutile.
Ogni qual  volta  si distraeva dal conteggio , riaffiorava, al posto  del sonno, quel maledetto ricordo.
Immagini nitide e crude, il primo incontro con il professore.
Emise un  respiro profondo, l'ufficiale, appena prima di bussare alla porta verde.
Uguale alle tante altre di quel corridoio, non fosse stato per un piccolo numero che corrispondeva a quello scritto sull'agenda qualche giorno prima. E poi vi era il nome sulla destra in alto, in caratteri neri su fodo bianco, quello del   Professore.
Un rumore gli fece  riaprire gli occhi e si accorse della presenza del dottore.
Non poteva dire quanto tempo avesse dormito.
Il dottore stava in piedi. Lo esaminava curvo nascondendo i geroglifici del soffitto.
Dopo alcuni gesti rapidi gli appoggio' lo stetoscopio sul petto  e disse: "Respiri profondo".
L'ufficiale ubbidi' paziente e insipiro' molte volte.
Profondo. L'aria poi usciva da sola, dalle narici dalle orecchie e forse dal taglio all'altezza dello stomaco.
Quando  fu possibile l'ufficiale  chiese imbarazzato:
"Dottore, ho in bocca  sapore di sangue, é grave?"
Il tono era  di chi, mai prima d'allora, aveva osato lamentarsi.
"Autosuggestione, signore.  Il sangue del taglio  non puo' essere arrivato fino in bocca ".
Poi, quasi distratto, e un po' infastidito aggiunse: "Non si preoccupi, tutto sotto controllo".
Si ritrasse e comincio' scrivere qualcusa  sul  ricettario.
L'ufficiale inspro' triste e  chiuse gli occhi stanco.
La porta dell'ufficio sbatté alle sue spalle.
Vide  il Professore che lo riceveva con una mano tesa in segno di saluto, un sorriso compiacente e una frase diretta.
"Molto piacere, signore, desidera?".
Il Professore, penso' e il gusto metallico  di sangue, divento' piu' intenso, ma era diverso, non lo stesso di prima, questa volta era il  sangue di altri.
L'ufficlale si sedette impacciato e schiarì la voce con due colpi di tosse.
Di colpo la divisa si era fatta pesante, le scarpe tenaglie, e  il colletto ruvido cappio.
Disse:  "Niente di importante, un controllo di routine" tutto di  un  fiato, senza alzare lo sguardo.
Poi aggiunse in tono sommesso, come di chi si vergogna:
"L'esercito ha cominciato a interessarsi alla  disciplina che lei studia".
Non poteva prevedere la frase del Professore, quasi lo aveste colpito,
Al sentire quella parola, "Controllo", il professore si irrgidì impalli'  e cambiò attitudine.
Giro' le  spalle all'ufficiale  e guardando i calcoli scarabocchiati alla lavagna tuonò:
"Se ne vada, ho molto da fare, non posso perdere tempo con lei e i suoi controlli."
L'ufficiale si alzo'  e si tese in avanti cercando di recuperare una qualche forma di contatto con il Professore.
Si sbilancio', fece un passo e disse in tono sommesso quasi da confessione:
"Non credo abbia scelta, ordini dall'alto".
Fu uno sbattere di libri sulla scrivania, un viso duro e nemico che gridava:
"Non si avvicini, fuori di qui, questo è il mio ufficio,
le ho già detto,
non ho tempo".
Fu l'ufficiale che  usciva.
Attraversò corridoi di studenti, di macchine del caffè di biblioeteche in silenzio.
Finalmente scese  le scale  arrivo'  in strada, fuori dal territorio nemico.
Si sorprese  correndo, lungo il  marciapiede, affannato, arrabbiato, avvelenato.
"Ci rivedremo" pensò e rallentò il passo.
Il dottore urtò il supporto della flebo che oscillando produsse un cigolio metallico.
"Mi scusi", balbettò, imbarazzato.
L'ufficlale aprì gli occhi, ancora.
Ancora odio, ancora vendetta ancora sopruso.
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